Cellulari

La prima volta che sono apparsi ho pensato che potevano tornare utili. Poi, che come sempre l’aspetto aveva preso il sopravvento sulla funzione primaria ed erano diventati delle minchiate. Infine, mi sono ricreduto e ho detto vabbé, però se mi si ferma la macchina in mezzo alla campagna poter telefonare a qualcuno non dev’essere male…
E così me lo sono comprato. Anzi, il primo è stato quello di mio padre, che mi prestava al sabato sera, così potevo avvisare se tardavo (e avvisavo ogni sabato, infatti).

Era un telefonino delle prime generazioni. Pesava circa un chilo, aveva due o tre suonerie (lenta, veloce e così così), nella rubrica ci stavano sei numeri e prendeva se avevi un ricevitore della Telecom nella bat-cintura.

Il primo cellulare, quello di mia proprietà, me lo sono fatto nella maniera più romantica: uno you & me comprato per me e per la mia fidanzata dell’epoca. Era un pacchetto convenienza: due cellulari da spender poco in una confezione unica e due schede telefoniche con contratto you & me. Si è rivelata un’idea eccezionale: dopo essere stato lasciato, potevo telefonarle per insultarla spendendo la metà.
Si trattava di un altro macinino da poco, ovviamente. Per mandare un sms dovevi ricordare il numero a memoria, perché non lo potevi scegliere dalla rubrica. Poco male: la rubrica avrà avuto dieci numeri sì e no. Aveva una decina di suonerie. La prima faceva un bip, l’ultima ne faceva dieci.

Dopo essermi licenziato da dove lavoravo in quel periodo, con la liquidazione mi sono comprato un telefono un po’ più all’avanguardia, che aveva cinquanta numeri in rubrica e una ventina di suonerie (o forse persino di più, non ricordo).
Addirittura, una te la potevi mettere tu, componendola con il compositore o scaricandola gratis da Internet (altri tempi: una volta le suonerie si scaricavano senza dover telefonare in Cile).
Il compositore era – ed è – uno strumento di tortura. Quelli che si compilavano giochi e programmi sui vecchi pc con i listati trovati sulle riviste mi capiranno. Ma come si fa a farsi una suoneria con quel coso? C’è da perdere il senno. I primi giorni mi ci ero anche messo, con l’entusiasmo tipico di chi si trova tra le mani uno strumento con il quale poter creare.
Mi era successo qualcosa di simile anche con il primo Macintosh comprato. Per un certo numero di giorni era tutto uno stupirsi. Ma che figata! Ma che figata! Posso fare questo, posso fare quello. Poi non ci ho mai fatto niente, ovviamente. Idem il compositore di suonerie.
Quattro o cinque ore per mettere insieme qualcosa che sembrava un pezzo di dodecafonica schonberghiana suonato da Sid Vicious.

Ed è proprio dalle suonerie che probabilmente è iniziato tutto. Che questo mondo civile nel quale viviamo, ovvero, si è trasformato in un territorio dove deambulano zombi con il telefono all’orecchio, con il microfonino appeso al collo, con i cazzi propri sempre raccontati lungo la strada, ad uso e consumo di ogni passante con la voglia di sapere come ti va la vita. Mi fermo in un punto qualunque di una strada affollata, mi guardo attorno e non ci posso credere. Ci sono decine, anzi centinaia di persone che stanno parlando al cellulare! Ma cosa dovranno dire a quello che c’è dall’altra parte. Come abbiamo fatto fino ad oggi? Come siamo riusciti a sopravvivere senza una cosa che adesso ci riempie il 90% della vita?
E li coccoliamo, ci prendiamo cura di loro, li personalizziamo. Le cover, i loghi, le suonerie…

La prima volta che la colonna sonora di Guerre Stellari è sbucata da un cellulare tutti si sono sentiti uno squallido gregge incolore e il tipo del cellulare stellare deve aver eiaculato. Da lì in poi, la corsa. Suonerie e poi loghi e poi frontalini e poi e poi e poi.

E adesso, le persone sono diventate così:

SMS DIPENDENTE: La sua vita scorre tutta su infinite ragnatele di sms sparsi in giro, con i quali ha dato appuntamenti e programmato spese. Non parla e non telefona più a nessuno. Manda, invece, un sms, che è più comodo.
Anche se sei seduto con lui al tavolo di un bar, ti manda un sms.
Ti messaggia, per dirla in gergo corrente. Bella lì, ti messaggio in questi giorni. Vai tranquillo, messaggiami pure.
I più smaliziati te li mandano contratti. K al posto di CH, XKE’ al posto di PERCHE’ o anche solo SAB al posto di SABATO. E levano le vocali. Ti arriva roba tipo “xké sab nn 6 ven? t ho asp x 2 ore!”

IL PRIVATO E’ POLITICO: Dopo aver sottoscritto questo motto, ha deciso di condividere con il resto del mondo la sua esistenza. Si presta a questo Truman Show parlando dei fatti propri solo ed esclusivamente al cellulare e – soprattutto – solo ed esclusivamente in mezzo a gente che non conosce e ad alta voce.
L’altra sera un tizio mi si è seduto di fronte a un tavolo del Ciao all’autogrill; dopo due secondi stava spiegando a un tale dal quale voleva del lavoro i suoi problemi economici e, già che c’era, anche quelli sentimentali con la moglie. Che forse, addirittura, si vedeva con un altro.
Una variante, credo voluta e non inconsapevole, è quella del capo del mondo, un tizio giaccaincravattato che a voce alta licenzia persone, sposta miliardi e cazzia segretarie. In un mondo che quasi certamente esiste solo nella sua fantasia, tra l’altro.

007: Di tutte le figate che il cellulare non ha, quella che invece ha è la possibilità di vedere chi ti sta chiamando. E’ una soddisfazione. Puoi prepararti alla telefonata. Persino non rispondere. Quindi, confesso che quando leggo sul display numero privato mi rode un po’ il culo. Questa sorta di telefonata a sorpresa mi ricorda i tempi tetri del telefono canonico, mi angoscia, mi rende impotente. E mi fa anche un po’ incazzare. Come se uno vi suonasse al videocitofono e poi si nascondesse dietro al muro.

MAI PIU’ SENZA: Ne ha dodici. E dodici numeri diversi. Quando ti dà il numero lo fa dicendo “Chiama su questo. In linea di massima su questo rispondo sempre, comunque se non rispondo prova su questo. Se è staccato, fai questo, oppure questo, che è quello che uso per lavoro. Se no c’è questo ma potrebbe risponderti la Cinzia. In ogni caso, se è urgente mandami un sms su questo, che lo tengo sempre spento ma ogni due tre ore lo controllo”.
Se ve lo mettete in rubrica poi non vi sta più nessuno.

GENERAZIONE A: Come Ambra, anche lui vive con un’appendice plastica collegata al suo cervello. Ha un microfonino invisibile dentro al quale parla continuamente, facendo sentire idioti tutti quelli che stanno attorno a lui perché si credono, di volta in volta, chiamati in causa. Ti prendi un caffé al banco di un bar e sei circondato da questi tizi che sembra ti stiano parlado, o che parlino da soli come matti, e invece stanno parlando nel loro maledetto cellulare.

GENERAZIONE A IN AUTOMOBILE: Sono in macchina da soli. Non c’è nessuno, sei sicuro. Te li vedi accanto oppure vedi i loro volti dallo specchietto retrovisore. E parlano, ridono, si incazzano, urlano, sbraitano, gesticolano. E non c’è nessuno. C’è solo un viva voce infilato da qualche parte, che sostituisce l’amico immaginario di un tempo.

IL BAMBINO DENTRO: Ha cinquant’anni e la suoneria dei Pokemon. Sei seduto accanto a un uomo distinto sul treno, senti la colonna sonora dei Flinstones e il tizio distinto estrae il telefono imbarazzato: è il suo.

AVANTGARDE: Non gliene frega nulla di telefonare: quello che conta, per lui, è avere l’ultimo modello. Con il display a colori e che può fare le cose più incredibili. Cellulari che fotografano, filmano, suonano, cantano, ballano… Lui deve avere l’ultimo uscito. Lo aspetta all’uscita, anzi.
Ti mostra tutte le sue funzioni (i videogiochi a colori e lo screensaver a colori e le suonerie strafighe…) e l’unica loro vera funzione è quella di essere mostrate a Tizio e a Caio e mai usati, fino al giorno in cui una nuova funzione vedrà la luce e ci saranno nuove bazze da sfoggiare.

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