Tessere

Ho sfilato di tasca il portafogli perché dovevo prendere la carta di credito, per rinnovare un dominio. Il portafogli si è aperto a fisarmonica e mi ha messo di fronte a una realtà che cercavo di evitare, anche nei momenti difficili, quando il peso del portafogli quasi mi abbassava i pantaloni.
La realtà è questa: non so voi, ma io ho le tasche piene di tessere. Ma quando dico piene intendo piene. Ne ho un casino. La tessera di questo, la tessera di quello…
Le rimetto nel portafogli e intanto ve le elenco, così vedete se anche voi ne avete un po’…

1) Il codice fiscale

Ormai in uno stato vergognoso. Invidio quelli che estraggono dalle loro tasche delle tesserine con il codice fiscale perfetto come una Visa. Pulito e integro.
Il mio cade a pezzi. Ha perso tutta una striscia di plastica in alto e adesso è più basso di un terzo. Per un po’ avevo tenuto le due parti insieme con magie varie, poi ho proprio perso la striscia e tutto è degenerato. E’ del 1989 è sembra dell’Ottocento.

2) (una tesserina bianca con su un numero di) Tele+
(Aggiornamento del 2007: ora ovviamente l’abbonamento non ce l’ho più. non c’è più nemmeno tele+. ma la tessera è rimasta. in ogni caso, restando la tessera resta anche la descrizione:)

Mi sono abbonato a telepiù, cazzo! Mi sono dato questa botta di vita sentendomi un privilegiato della madonna, e poi non mi ricordo mai di avercelo e non lo guardo mai.
E quando mi ricordo danno sempre lo stesso film! Guardo la televisione molto poco, quando capita, e se giro su telepiù becco sempre lo stesso stramaledetto film dato in una nuova fascia oraria. Ogni nuovo film mi perseguita. Lo devo vedere almeno quattro volte, non c’è scampo.
Oppure ne danno uno che avevo appena affittato al Blockbuster. O, peggio, comprato al Blockbuster…

(aggiornamento del 2007 bis: ora ho Sky, ma tessere da mettere in tasca non ne ho, solo quella da infilare nel decoder. Di Sky ne parlo solo bene perché mi fa vedere Lost!)

3) Blockbuster Video Membership Card

(Vedi sezione apposita)

4) Saturn e-club

Saturn è uno store di tecnologie varie, e con questa tessera ho diritto a cose tipo 1 punto per ogni 5 (o 10) euro di spesa. Poi quando raggiungo, per esempio, 75 punti, ho diritto a uno sconto di 9 euro. Con i 9 euro che risparmio cambio vita. Vado ai Caraibi e non torno più.

5) Media-World Multicard

Tipo quella del Saturn. Anche qui raccogli i punti e se compri tre televisori al plasma in sei mesi, poi con i punti riesci a prendere un minipimer.

6) La Cartasì / il Bancomat

La carta di credito è l’unica che forse mi è indispensabile. Principalmente, perché bazzicando su internet capita spesso di doverla usare (registrare un dominio o comprare un software o cose del genere), e poi perché meno soldi ho in tasca meglio è. Ho le mani bucate e compro solo ed esclusivamente stronzate.
Ovviamente lo faccio anche con la carta di credito. Anzi, non guardando i soldi che se ne vanno, ma trattando solo con una piccola lastra di plastica e una firma da fare… bé, mi sembra di non spendere nemmeno i miei soldi. Poi al quindici di ogni mese dopo sbatto la testa contro il muro e declamo ad alta voce odi al turpiloquio.

Adesso, anzi da più di un anno, ho la carta di credito con il chip elettronico. Un ringraziamento di cuore all’inventore di queste carte con il chip. Chip per garantire ulteriore sicurezza, deduco. E in effetti funziona, perché sono sicuro di fare la figura del cazzone due volte su quattro. Alla Coop non c’è verso di farmela leggere. Dopo trenta o quaranta tentativi, nei quali la coda alla cassa è diventata così lunga da essersi congiunta con quella delle automobili che escono dal parcheggio, tiro fuori il bancomat, pago con quello e me ne vado incazzato. Ho smesso di fare la spesa alla Coop, infine.
All’Esselunga è andato tutto bene, per un po’ di tempo. Facevo la mia spesa, raccoglievo punti fragola e pagavo con la mia bella carta di credito. Ma questa mattina la sorpresa: non la prende più. Mi dice la commessa: “Eh, da qualche giorno sono arrivati i lettori appositi per il chip e abbiamo un sacco di problemi, anche la mia non riesco a usarla qui…”.
Ah, ecco. Finché c’erano i lettori normali andava tutto bene. Poi sono arrivati i lettori appositi (la carta non si striscia ma si infila in una fessura dalla parte del chip) e giustamente non funge più nulla.
E via di teatrino: “Adosso provo a strisciarla”, “Adesso provo a infilarla”, “Ora la infilo dalla parte del chip”, “Ora la infilo dalla parte del non-chip”, “Ora provo a invocare il Loa Legba nella speranza che apra un passaggio tra la dimensione materiale e quella astrale”, “Ora faccio finta di dirle che succede a tutti così le settantanove persona in coda non pensano che lei cerca di pagare la spesa senza avere più una lira”…
Alla fine, bancomat.

6) Videochange

Questa tessera è un cimelio di quando erano usciti i distributori automatici di videoccassette. Con i miei orari del cazzo l’idea di poter uscire di casa a qualunque ora e andarmi ad affittare un film era una cosa favolosa.
Purtroppo, la videoteca di un paesino non è come la videoteca di una grande città, e aveva questo distributore poco capiente, quindi il proprietario faceva una selezione in onore delle vendite più che del buon cinema.
E alla fine la lista delle novità era più o meno così: Die Hard, Arma Letale, Tutti i cazzi per Mary, AnaLstasia, Cicciolina e Moana ai Mondiali, Fetish Dreams e via di questo passo.

7) V ideoteca P.P.

La passione per il cinema mi riempie di tessere. Questa è a timbri. Per ogni dvd comprato (dai 22 ai 25 euro) mi fanno un bollino. Quando arrivo a 10 bollini ho uno sconto di 5 euro. Dopo averne spesi 250 risparmiarne 5 è davvero una bella botta di culo, o no?

8) (la mitica) Bennet Club Card

Questa ce l’ho, la uso e allo stesso tempo la odio. Fa parte delle mie mille contraddizioni. Parlarvene quasi mi angoscia, quindi vi rimando al pezzo che già avevo scritto (anche) su di lei.
Grazie a questa tessera ho diritto a cose incredibili, quali sconti fino al 70% e altre diavolerie da supermarket. Anche per queste diavolerie vi rimando altrove, per esempio nel seguito ideale di Ipermarket, che è Fino al 100%.

9) SOCIOCOOP

Questa è un piccolo orgoglio, cazzo. Vado lì e mi sento bene nel fare la spesa. Tesoro, guarda questa marmella come è genuina, è roba della Coop. E guarda questa frutta. E poi ti fanno sentire del giro. Ti mandano a casa il bilancio e tutto il resto. Voglio dire: la Coop sono io.

10) Vantaggi Iper

Altro supermercato, altra tessera. Questi non regalano niente, però con la tessera ti fanno degli sconti. I classici: quelli sui prodotti che non mi interessano.

11) Fidaty Card

La tessera dell’Esselunga, sulla quale accumuli i punti fragola, la mia droga. I punti fragola si raccolgono spendendo, ovviamente. Ogni tot di spesa, punti fragola. Ma a volte un prodotto vale da solo una quantità X di punti fragola. E io non riesco a resistere: lo compro. Non me ne frega niente se non mi serve: io lo compro. E non m’importa se è un po’ caro: io lo compro. Fa nulla se sono così povero che quando parlo con gli accattoni li commuovo: io lo compro. E poi mi faccio i premi: la friggitrice, la macchina per fare la granite di Topolino (cioé, si fanno le granite di ghiaccio con questo affare che è a forma di Topolino, quello dei fumetti; non è che si tritano topolini)…

12) M.Kart Piste Kart al coperto

Questa l’ho fatta per aver detto, mentre si discuteva di kart, qualcosa tipo ah, sì, cazzo, i kart. so cosa sono, ci sono stato anche su e ritrovarmi poi iscritto in una di queste gare. Qui mi sono allenato per un po’, poi siamo andati a correre in una cosa figa con tutta gente che correva bene. Ovviamente, avendo già i tempi peggiori (mi ha sorpassato anche un tipo con un trattorino falciaprato), al terzo giro mi si sono rotti i freni e sono andato dove il Destino aveva previsto per me: affanculo.

13) Fidelity Card Jolly Foto

Questa è nuova di pacca, fatta il 1° settembre del 2003. Sono andato a far sviluppare le foto delle mie vacanze e me l’hanno messa in mano. C’è un codice a barre che mi identifica come cliente e un altro po’ di persone sapranno chi cazzo sono. Però mi permette di ottenere i seguenti vantaggi: massima celerità di consegna (e vabbé) e riservatezza e sicurezza assoluta delle tue fotografie. Gasp! Devo quindi dedurre che se non avessi la tessera la riservatezza verrebbe meno? Un cliente va a ritirare le foto e il proprietario urla al commesso, in mezzo a tutti: “Oh, prendi le foto del signore, quelle dove c’è lui che si fa infilare un clistere da una troiona vestita di pelle!”.

14) E infine, una gloriosa tessera telefonica scaduta nel 2001 del valore di L. 10.000 – € 5,16, che adesso però butto via.

Il portafogli è così gonfio che presto mi servirà una borsetta. Andremo in giro io e la mia fidanzata, mano nella mano, lei con la tipica borsetta da donna (quelle prodotte con la stoffa delle mutande di Eta Beta, minuscole e misteriosamente capienti) e io con la borsetta portatessere (gigantesca e pesante).

Cose mie

Tipi di Tipi

Lo ammetto: sono un individuo piuttosto chiuso e solitario. Parlo a ruota libera (e sono persino logorroico) solo con i pochissimi amici che ho, mentre in mezzo a gente nuova tendo a stare in disparte e a muovere le labbra il meno possibile.
Non è un pregio, purtroppo. Ma è un difetto che, invero, mi dà il tempo per osservare tutte le persone che mi stanno attorno, e che si parlano e si conoscono e si raccontano di loro.
E’ un hobby che non ho nemmeno mai saputo di avere, anche se in realtà abbiamo sempre vissuto insieme, io e lui.
Mi intrippo a guardare le persone e a classificarle, per poi accorgermi che alla fine c’è un numero di categorie, per quanto grande, piuttosto ridotto. Sono raggruppabili in una serie di insiemi dei quali prendo nota. Il mio catalogo mnemonico, come una sorta di album di figurine, mese dopo mese si arricchisce. Ci sono i frequentatori di strade e mezzi su ruote, i possessori di cellulari, la gente all’ipermarket… ho catalogato di tutto un po’ e qualcuno mi ha scritto per sapere se sono davvero così poco tollerante, se davvero odio il mondo come si evince da quanto scrivo.
Ma no, certo che no. Dirò di più: per milioni di volte io stesso mi sono trovato in una delle categorie che descrivo. C’est la vie. E’ la via.
In realtà, le persone che mi stanno un po’ qui (per non scrivere sempre sul culo, sul cazzo, ché a volte un po’ di contegno non fa male) sono davvero poche.

L’altra sera, invitato ad una festa di amici di un amico, in una sorta di disco pub affittato, mentre stavo seduto in disparte, come mia consuetudine, mi sono accorto che i tipi che mi stanno antipatici erano tutti lì.

C’era IL SIMPA, per esempio. Il simpa non è simpatico, ma fa il simpatico. Quelli che fanno i simpatici sono la razza peggiore presente sulla faccia della terra. Hanno questa pessima abitudine di voler far ridere a tutti i costi e non ci riescono praticamente mai, imbarazzando te e loro. Sono patetici. Li riconosci perché fanno una battuta e poi si ammazzano dal ridere. Se gli sei vicino e mantieni – come è logico – un’espressione impassibile, te la spiegano.
Cercano in tutti i modi di tirarti nella risata, e tu ne accenni una sforzata ma si capisce che sforzi. Se sono fidanzati, sono causa di imbarazzo anche per il partner, a meno che non facciano entrambi parte della stessa razza. In questo caso, vivrai in un terrificante teatrino dell’assurdo fino a quando la scusa buona da sfoggiare salterà fuori e lascerai entrambi alla loro simpatia.

E che dire dei CONSIGLIERI? Li conosci da trenta secondi eppure hanno già un consiglio da darti. Se sei in procinto di fare qualcosa (un viaggio, una spesa, una manciata di fatti tuoi) loro l’hanno già fatto e ti spiegano subito la strada migliore, la scelta migliore, la decisione migliore.
Quella di mandarli affanculo, ma l’educazione ti frena.

L’INTENDITORE era appoggiato al bancone, dove stava chiedendo un bicchiere di Ardbeg, un whisky eccellente per il tardo pomeriggio, con un aroma pieno, di torba, lievemente di medicina.
E’ simile a un consigliere, ma più che darti consigli ha interesse nel farti sapere che lui se ne intende. Di tutto, ovviamente. Dalla più grande minchiata al segreto della vita, lui ha una discreta conoscenza, e solitamente smantella la poca che hai tu.
A volte te la demolisce anche con faccia schifata, guardandoti dall’alto in basso, oppure con un sorriso che ti concede pietà. Se cambi argomento, ne sa anche di quello, e così all’infinito.

Il FIN TROPPO ONESTO non manca mai. E’ uno che non sa ancora chi sei e ti snocciola un punto di vista che prevede l’ovvia coglioneria della fazione opposta. Nella quale potresti esserci tu. Forse perché sicuro di riconoscere sempre i suoi simili, il tizio di questa specie fa affermazioni categoriche senza sapere la categoria di appartenenza del suo interlocutore. Dice cose tipo “Quelli del G8 sono tutti dei drogati” a uno che è stato manganellato dalla polizia a Genova; “Quella ragazza è un cesso” al fidanzato della ragazza e ai suoi amici; “Gli arbitri sono tutti dei cornuti” a un arbitro e via di questo passo.
La versione professional è questo tizio che oltre a sentenziare senza sapere dove sta gettando l’immondizia ti fa anche sorrisini complici o addirittura ti dà una pacca sulla spalla, convinto che non puoi che essere della sua idea.

LA MITRAGLIA, invece, è quel tipo che dopo averti agganciato inizia a parlare e lo fa per un periodo così lungo che alla fine non solo tu non ti ricordi tutto quello che ha detto, ma non se lo ricorda più nemmeno lui.
Dopo venti minuti – senza interruzioni e senza prender fiato – di ascolto continuo, perdi proprio il senso delle parole, che si amalgamano e diventano suoni intermittenti come quelli di un telegrafo. C’è un momento nel quale arrivi ad odiarlo, ad augurargli la morte. Qui. Ora.

L’UBRIACO COLLOSO è in ogni caso quello che amo di meno. Mi spiace, anche perché io sono ubriaco il 90% delle volte in cui mi trovo a una festa, ma così come adoro quelli pacati e in pace col mondo, odio quelli che ti si appiccicano addosso e con un braccio rigorosamente sulle tue spalle per tenersi in piedi ti soffiano nelle orecchie frasi sconnesse di alito caldo e puzzolente, e ti coinvolgono nei discorsi più astrusi e spossanti… e se cerchi di defilarti si offendono pure.
Non manca la versione professional, che nell’offesa vede un affronto da lavare con il sangue, andando a creare immantinente l’immancabile siparietto del “momento di tensione”, che è un classico di ogni festa che si rispetti, come il gioco della bottiglia.

Quanto a momenti di tensione non è stato male nemmeno SCHERZETTO, che è un altro di quei tipi ai quali inietterei soda caustica nei bulbi oculari, mentre li ho di fronte.
Scherzetto se arriva da dietro ti piega le ginocchia con le sue per farti cadere, oppure ti afferra le balle (che è un grande classico). Le balle te le afferra anche da davanti (un classico non ha limiti direzionali).
Davanti, può farti anche la mossa, che dovrai ovviamente pagare in caso di spavento, oppure un altro evergreen: il pizzicotto sul capezzolo. Quest’ultimo può lasciarti lividi anche per settimane, quindi è un buon modo per farsi ricordare, se vi servisse un’idea originale per amici e/o parenti.

E per finire è arrivato FICHETTO, che è uno che ti guarda i vestiti e sembra stia pensando di pisciarci sopra, ai tuoi jeans non pulitissimi. In vacanza ci va sullo yacht, le sue scarpe costano 300 euro, è amico di due letterine di passaparola e di un calciatore, pippa la coca, ha la macchina da gran figazzo dei figazzi, il bronzo impeccabile e tu sei una merda. E questo vorrebbe fartelo capire fin dall’inizio.
Ma anche se ti schifa non si leva dai coglioni, e sta invece lì a farti una lista di quello che ha e che fa e che può avere e che può fare e di chi conosce e di chi si scopa e se il mondo avesse un buco del culo io ci starei infilando il mio pene.

Quando stavo per farcela a imboccare il cammino del rientro, mi ha blindato alla porta PAGINE GIALLE, che è un tipo inquietante che probabilmente tiene un gigantesco albero genealogico mondiale appeso alle pareti della sua cameretta.
Mi bisbiglia “Ciao, mi hanno detto che sei di Pisciacavolo, è vero?”
“Sì, perché?”
“Oh, ma allora conosci la Deborah!”.
“Bo? Deborah chi?”
“Deborah quella che ha fatto il linguistico a Pirzonate, che era in classe con la Mariella, quella di Busonello. I suoi genitori hanno una macelleria. O forse una lavanderia. La macelleria forse è dei genitori della Simonetta.”
“Guarda, io non è che conosco proprio tutti…”
“Ma il Mario? Lo conosci il Mario? Troppo forte… Abbiamo fatto ragioneria insieme, a Brinzio. C’erano lui e anche l’Alberto, di Pisciacavolo, quell’anno lì, poi l’Alberto ha smesso per andare a lavorare. Adesso che lavoro fa?”
“Ma Alberto chi?”

Regalandogli un paio di pettegolezzi freschi da aggiungere al suo who’s who del mondo intero sono riuscito a defilarmi e a raggiungere la macchina, evitando accuratamente L’AMICO MIGLIORE CHE SI POSSA AVERE.
La pensa sempre come te, ma solo quando parla con te. Se parla con un altro, la pensa come lui. Se parla di un Altro a te, ti dice che l’Altro è un coglione. Se parla di te all’Altro, gli dice che sei un coglione. Tiene il piede in tutte le scarpe possibili. E’ amico di tutti e in realtà non è amico di nessuno.

Ma almeno questo riesco ad evitarmelo. Non dovrò sapere quanto mi stima, per questa volta. Sono finalmente fuori, tra il silenzio nel quale si espande il rumore del motore acceso, Strange Days di Franco Battiato nell’autoradio e poi la strada di casa.
A casa, dove ogni cosa mi è amica, dove posso sprofondare nel divano o in una tazza di te, o mettermi davanti al computer e scrivere qualcosa.
E mentre faccio il primo tiro della prima sigaretta fumata di fronte al monitor, mi accorgo che in realtà non mi sta più sul culo nessuno.

Cose mie, Uomini & Donne

€uro

Io lo sapevo che le cose sarebbero cambiate, ma gli specialisti alla TV dicevano che il mio allarmismo era totalmente ingiustificato.
L’arrivo dell’euro, a sentir loro, sarebbe stato un problema solo per qualche vecchio rincoglionito o per due analfabeti sbarcati qui dopo esser vissuti su un baobab.
Invece, sto cazzo.
Questi scemi hanno fatto i conti solo con una metà dei nostri cervelli, quella che ci ricorda che un euro vale quasi due vecchie carte.
Ma l’altra metà, che vive di sentimenti, di emozioni, di ricordi e di fantasie, non l’hanno proprio considerata. La metà di cervello che mi fa vedere un euro come se fosse una monetina da nulla, che mi fa cacciare i cinque euro in allegria… “Quanto fa?”, “Cinque euro!”, “Solo? Ecco a lei!”.
E un vecchio deca se ne è andato…
L’altro giorno ho comprato delle stronzate allucinanti al supermercato, perché erano in offerta “TUTTO A 3 EURO”. Mi sono detto “Be’, però, solo tre euro…”.
Se fossero costate seimila lire, non le avrei mai comprate.

So benissimo che l’hard disk da 270 euro che ho preso un paio di mesi fa mi ha fatto volar via più di mezzo milione, però quando ho visto il prezzo l’altra parte del mio cervello mi ha proprio strillato nelle orecchie “270 euro? Cazzo, compralo subito!”

Tutto sembra dimezzato, e alla fine i vecchi rincoglioniti li trovo al supermercato con le loro brave calcolatrici, al punto che la prudenza li porterà a risparmiare e io, il giovane sveglio, a comprare stronzate perché costano solo.

Dall’arrivo dell’euro sono diventato povero. L’altro giorno sono andato in banca e mi sono accorto che avevo più soldi nel cruscotto della macchina.
Tutta questa maledetta moneta la butto lì, perché è nel mio DNA, perché lo faccio da quando ho la macchina, perché da sempre, sempre, sempre, abbiamo avuto questa sorta di stizza nei confronti della moneta. L’abbiamo sempre sottovalutata. Magari mi fermavo a raccogliere 50 lire solo per il gusto di averle trovate, e poi se me ne cadevano a terra 200 mi permettevo il lusso di lasciar pedere, se non le trovavo al volo.
Appena salivo in macchina, travasavo le monete dalle tasche al cruscotto.
E continuo a farlo, ma ora queste maledette monete valgono una fortuna. Qualche notte un drogato mi sfonderà i vetri solo per rubarmi le monete dal cruscotto. E non c’è verso di liberarsene. Appena compro qualunque cosa, allungo una banconota e mi ritornano manciate di merdosissime monete.
Io le poso da qualche parte, poi devo pagare 12,65 e la ruota ricomincia a girare. Ora mi sono imposto di mettere tutte le monete vaganti in un salvadanaio, così alla fine dell’anno, quando lo aprirò, riavrò indietro la metà dei miei soldi.

E mi sembrano sempre pochi. Se prima uscivo di casa con 50 carte mi sentivo ricco. Se adesso ho in tasca 20 o 25 euro mi sembra di non essere abbastanza coperto. E se mi succede qualcosa? Se mi capita di aver bisogno? Vabbé, dai, prelevo. E via di bancomat, dal quale prelevo cifre che vanno dai 50 ai 100, come una volta. Solo che adesso in realtà ne sto prelevando dai 100 ai 200, ma si torna alle due metà di cervello. Il taglio più piccolo è 20, e quella mia parte di cervello mi dice: “20?? Ma che cazzo fai, prelevi solo 20? Ma allora non prelevare nemmeno…”. E così prelevo cinquanta. Se non ho un niente da fare. Se sto per andare da qualche parte con gli amici, prelevo 100.

Quando i DVD costavano 40.000 lire ne compravo molto pochi, ma da quando costano solo 19,95 euro ne compro molti di più. Stessa cosa per i giochi: 120 carte per un videogioco erano decisamente troppe, ma ora che costano solo 50 euro, o 60, allora tutto cambia e sulla mia mensolina i giochi aumentano in allegria.

Nel frattempo, inoltre, tutto è silenziosamente aumentato. Le mie Lucky Strike, per esempio, che costano 3 euro al pacchetto, per fare cifra tonda. Le cifre tonde non so quanti centesimi o millesimi mi avranno già spillato, ma ho paura che se mi mettessi a contare anche quelli un po’ mi girerebbero le gonadi.
D’altra parte, i piccoli tagli sono terrificanti. L’autostrada fino a Milano mi costa 2,10€ e se per caso ho appena svuotato il cruscotto e non ho quei merdosi dieci cent mi trovo in cambio una bella manciata di monetine del cazzo, che poso nel cruscotto e dimentico lì. Quindi è come se l’autostrada l’avessi pagata 10€, perché è proprio quella la cifra che ho smesso di possedere da quando sono sceso dalla macchina.

Dei distributori automatici di sigarette e quant’altro non voglio nemmeno parlarne. Davanti a loro, mi accorgo che anche la mia confidenza con l’aspetto esteriore dell’euro è ancora piuttosto acerba. Per esempio, non ho ancora capito da quale cazzo di parte si infila la banconota. Su 1000 distributori, ne avrò trovati 5 che avevano il disegnino con la banconotina e la freccina. In tutti gli altri, sono andato per tentativi. In almeno 150, non c’è stato verso di infilare la banconota. Alla fine sono sempre dovuto tornare alla macchina e prelevare un paio di manciate di monete per tentare con quelle.
I distributori, tra l’altro, restituiscono resti da un euro e cinquanta al massimo, quindi se sei sfigato e hai solo una banconota da dieci euro devi comprarti 18 vecchie carte di sigarette. E se eri lì solo per comprarti un pacchetto di cicche avrai l’alito profumato per i prossimi sei mesi.

Cose mie

Cellulari

La prima volta che sono apparsi ho pensato che potevano tornare utili. Poi, che come sempre l’aspetto aveva preso il sopravvento sulla funzione primaria ed erano diventati delle minchiate. Infine, mi sono ricreduto e ho detto vabbé, però se mi si ferma la macchina in mezzo alla campagna poter telefonare a qualcuno non dev’essere male…
E così me lo sono comprato. Anzi, il primo è stato quello di mio padre, che mi prestava al sabato sera, così potevo avvisare se tardavo (e avvisavo ogni sabato, infatti).

Era un telefonino delle prime generazioni. Pesava circa un chilo, aveva due o tre suonerie (lenta, veloce e così così), nella rubrica ci stavano sei numeri e prendeva se avevi un ricevitore della Telecom nella bat-cintura.

Il primo cellulare, quello di mia proprietà, me lo sono fatto nella maniera più romantica: uno you & me comprato per me e per la mia fidanzata dell’epoca. Era un pacchetto convenienza: due cellulari da spender poco in una confezione unica e due schede telefoniche con contratto you & me. Si è rivelata un’idea eccezionale: dopo essere stato lasciato, potevo telefonarle per insultarla spendendo la metà.
Si trattava di un altro macinino da poco, ovviamente. Per mandare un sms dovevi ricordare il numero a memoria, perché non lo potevi scegliere dalla rubrica. Poco male: la rubrica avrà avuto dieci numeri sì e no. Aveva una decina di suonerie. La prima faceva un bip, l’ultima ne faceva dieci.

Dopo essermi licenziato da dove lavoravo in quel periodo, con la liquidazione mi sono comprato un telefono un po’ più all’avanguardia, che aveva cinquanta numeri in rubrica e una ventina di suonerie (o forse persino di più, non ricordo).
Addirittura, una te la potevi mettere tu, componendola con il compositore o scaricandola gratis da Internet (altri tempi: una volta le suonerie si scaricavano senza dover telefonare in Cile).
Il compositore era – ed è – uno strumento di tortura. Quelli che si compilavano giochi e programmi sui vecchi pc con i listati trovati sulle riviste mi capiranno. Ma come si fa a farsi una suoneria con quel coso? C’è da perdere il senno. I primi giorni mi ci ero anche messo, con l’entusiasmo tipico di chi si trova tra le mani uno strumento con il quale poter creare.
Mi era successo qualcosa di simile anche con il primo Macintosh comprato. Per un certo numero di giorni era tutto uno stupirsi. Ma che figata! Ma che figata! Posso fare questo, posso fare quello. Poi non ci ho mai fatto niente, ovviamente. Idem il compositore di suonerie.
Quattro o cinque ore per mettere insieme qualcosa che sembrava un pezzo di dodecafonica schonberghiana suonato da Sid Vicious.

Ed è proprio dalle suonerie che probabilmente è iniziato tutto. Che questo mondo civile nel quale viviamo, ovvero, si è trasformato in un territorio dove deambulano zombi con il telefono all’orecchio, con il microfonino appeso al collo, con i cazzi propri sempre raccontati lungo la strada, ad uso e consumo di ogni passante con la voglia di sapere come ti va la vita. Mi fermo in un punto qualunque di una strada affollata, mi guardo attorno e non ci posso credere. Ci sono decine, anzi centinaia di persone che stanno parlando al cellulare! Ma cosa dovranno dire a quello che c’è dall’altra parte. Come abbiamo fatto fino ad oggi? Come siamo riusciti a sopravvivere senza una cosa che adesso ci riempie il 90% della vita?
E li coccoliamo, ci prendiamo cura di loro, li personalizziamo. Le cover, i loghi, le suonerie…

La prima volta che la colonna sonora di Guerre Stellari è sbucata da un cellulare tutti si sono sentiti uno squallido gregge incolore e il tipo del cellulare stellare deve aver eiaculato. Da lì in poi, la corsa. Suonerie e poi loghi e poi frontalini e poi e poi e poi.

E adesso, le persone sono diventate così:

SMS DIPENDENTE: La sua vita scorre tutta su infinite ragnatele di sms sparsi in giro, con i quali ha dato appuntamenti e programmato spese. Non parla e non telefona più a nessuno. Manda, invece, un sms, che è più comodo.
Anche se sei seduto con lui al tavolo di un bar, ti manda un sms.
Ti messaggia, per dirla in gergo corrente. Bella lì, ti messaggio in questi giorni. Vai tranquillo, messaggiami pure.
I più smaliziati te li mandano contratti. K al posto di CH, XKE’ al posto di PERCHE’ o anche solo SAB al posto di SABATO. E levano le vocali. Ti arriva roba tipo “xké sab nn 6 ven? t ho asp x 2 ore!”

IL PRIVATO E’ POLITICO: Dopo aver sottoscritto questo motto, ha deciso di condividere con il resto del mondo la sua esistenza. Si presta a questo Truman Show parlando dei fatti propri solo ed esclusivamente al cellulare e – soprattutto – solo ed esclusivamente in mezzo a gente che non conosce e ad alta voce.
L’altra sera un tizio mi si è seduto di fronte a un tavolo del Ciao all’autogrill; dopo due secondi stava spiegando a un tale dal quale voleva del lavoro i suoi problemi economici e, già che c’era, anche quelli sentimentali con la moglie. Che forse, addirittura, si vedeva con un altro.
Una variante, credo voluta e non inconsapevole, è quella del capo del mondo, un tizio giaccaincravattato che a voce alta licenzia persone, sposta miliardi e cazzia segretarie. In un mondo che quasi certamente esiste solo nella sua fantasia, tra l’altro.

007: Di tutte le figate che il cellulare non ha, quella che invece ha è la possibilità di vedere chi ti sta chiamando. E’ una soddisfazione. Puoi prepararti alla telefonata. Persino non rispondere. Quindi, confesso che quando leggo sul display numero privato mi rode un po’ il culo. Questa sorta di telefonata a sorpresa mi ricorda i tempi tetri del telefono canonico, mi angoscia, mi rende impotente. E mi fa anche un po’ incazzare. Come se uno vi suonasse al videocitofono e poi si nascondesse dietro al muro.

MAI PIU’ SENZA: Ne ha dodici. E dodici numeri diversi. Quando ti dà il numero lo fa dicendo “Chiama su questo. In linea di massima su questo rispondo sempre, comunque se non rispondo prova su questo. Se è staccato, fai questo, oppure questo, che è quello che uso per lavoro. Se no c’è questo ma potrebbe risponderti la Cinzia. In ogni caso, se è urgente mandami un sms su questo, che lo tengo sempre spento ma ogni due tre ore lo controllo”.
Se ve lo mettete in rubrica poi non vi sta più nessuno.

GENERAZIONE A: Come Ambra, anche lui vive con un’appendice plastica collegata al suo cervello. Ha un microfonino invisibile dentro al quale parla continuamente, facendo sentire idioti tutti quelli che stanno attorno a lui perché si credono, di volta in volta, chiamati in causa. Ti prendi un caffé al banco di un bar e sei circondato da questi tizi che sembra ti stiano parlado, o che parlino da soli come matti, e invece stanno parlando nel loro maledetto cellulare.

GENERAZIONE A IN AUTOMOBILE: Sono in macchina da soli. Non c’è nessuno, sei sicuro. Te li vedi accanto oppure vedi i loro volti dallo specchietto retrovisore. E parlano, ridono, si incazzano, urlano, sbraitano, gesticolano. E non c’è nessuno. C’è solo un viva voce infilato da qualche parte, che sostituisce l’amico immaginario di un tempo.

IL BAMBINO DENTRO: Ha cinquant’anni e la suoneria dei Pokemon. Sei seduto accanto a un uomo distinto sul treno, senti la colonna sonora dei Flinstones e il tizio distinto estrae il telefono imbarazzato: è il suo.

AVANTGARDE: Non gliene frega nulla di telefonare: quello che conta, per lui, è avere l’ultimo modello. Con il display a colori e che può fare le cose più incredibili. Cellulari che fotografano, filmano, suonano, cantano, ballano… Lui deve avere l’ultimo uscito. Lo aspetta all’uscita, anzi.
Ti mostra tutte le sue funzioni (i videogiochi a colori e lo screensaver a colori e le suonerie strafighe…) e l’unica loro vera funzione è quella di essere mostrate a Tizio e a Caio e mai usati, fino al giorno in cui una nuova funzione vedrà la luce e ci saranno nuove bazze da sfoggiare.

Cose mie

Rucola

La rucola, con quel suo sapore amaro, mi fa letteralmente schifo. Non riesco a prendere in considerazione il fatto di mettermela nemmeno vicino alle labbra. Mi disgusta!
E fin qui, de gustibus non disputandum est, come direbbero i tizi di un popolo che purtroppo è tutto morto. Non fosse che la rucola, poco alla volta, nemmeno troppo silente, sta invadendo il mondo e nessuno fa nulla per fermarla.

All’improvviso, senza una ragione evidente, questa merdosa insalata amara è apparsa di prepotenza nel settanta percento dei piatti all’uomo conosciuti. C’era anche prima, forse. Forse sì, c’era, ma il contrasto da a volte a ovunque è così forte da aver cancellato il passato. Nei miei ricordi, non c’è traccia di rucola come un simpatico e disimpegnato angolino verde sulla tavola; il mio archivio mnemonico me la ripropone davanti agli occhi solo come un qualcosa che prima non c’era e che ora, invece, devo far levare da qualunque portata.
Mi sono ritrovato, senza poter scegliere, nella zona di mondo occupata da quelli che mangiano senza. Senza rucola, ovviamente.

Ricordo quando ancora mangiavo carne e pesce… Ero a cena in un ristorante con specialità pesce, diverso tempo fa, e nel leggere il menu mi saliva il panico. La rucola aveva la stessa frequenza dei prezzi riportati. Ogni piatto, ovvero, aveva sia un prezzo, sia una spolverata di rucola. Da ogni merdoso piatto di quel merdoso menu sbucava della merdosa rucola. Quindi, tripletta di senza. Un cocktail di gamberi senza rucola, spaghetti allo scoglio senza rucola e carpaccio di pesce spada senza rucola.
La panna cotta non ce l’aveva. Mentre vedevo il tizio che dal fondo della sala si avvicinava al tavolo con la panna cotta in mano temevo che ci sarebbe stata anche lì. Una bella tritata di rucola sulla panna cotta e via.

Che cosa ha reso potenti quelli del mondo del con? Con rucola, ovviamente. Perché non vivo in un mondo dove un amante della rucola non dovrebbe far altro che dire, semplicemente e candidamente: con rucola, per favore?

Non ci avevo mai fatto caso, perché di solito andavo direttamente al Burger King al secondo piano, ma un giorno (sempre del mio periodo carnivoro) mi fermo di fronte al bancone dell’autogrill per vedere di mangiarmi un panino, al posto del solito chicken wrap fatto con i pop corn di pollo (i pop corn di pollo? ma come cazzo li fanno? mia nonna si rivolta nella tomba) e scopro questo nuovo portento dell’arte culinaria: Icaro, il delicato e leggero panino strafigo al quale auguro la medesima sorte del suo omonimo. Gli ingredienti non me li ricordo, anche se ricordo che mi piacevano persino. Lo avevo trovato invitante e adatto al calore afoso della giornata.
Ma non l’ho preso. Ci sarà stato uno strato di un paio di centimetri di quella merdosa rucola. Ma perché, cazzo, perché? Metterla è cosa di un minuto, toglierla è roba di secoli…

… già, perché mica sempre puoi dire senza. A volte nemmeno te lo immaginavi, che te la saresti trovata da qualche parte. Giorni in cui appare all’improvviso su cibi che un tempo non la indossavano. Il filetto, per dirne una. O il carpaccio. Un tempo me li aspettavo ricoperti da favolose e morbide scaglie di grana, oggi arrivano carichi di rucola. Un po’ alla volta si infiltra ovunque. Me la sto aspettando nel cheeseburger da MacDonald (nelle pizze di Spizzico è partita subito alla grande) e come gusto di dentifricio.
E così, in quei tristi momenti, passo parecchi dei miei minuti a levare quell’insalata del cazzo dai miei piatti, all’inizio a grandi forchettate, poi in minuziosi lavori di precisione per levare l’ultimo strato di foglioline appiccicate ovunque. E tutto si raffredda. Tutto.
Mangio lento, incazzato e nervoso, per colpa di questa innocua insalatina del cazzo. Maledetta e merdosa.

Cose mie