Cellulari

La prima volta che sono apparsi ho pensato che potevano tornare utili. Poi, che come sempre l’aspetto aveva preso il sopravvento sulla funzione primaria ed erano diventati delle minchiate. Infine, mi sono ricreduto e ho detto vabbé, però se mi si ferma la macchina in mezzo alla campagna poter telefonare a qualcuno non dev’essere male…
E così me lo sono comprato. Anzi, il primo è stato quello di mio padre, che mi prestava al sabato sera, così potevo avvisare se tardavo (e avvisavo ogni sabato, infatti).

Era un telefonino delle prime generazioni. Pesava circa un chilo, aveva due o tre suonerie (lenta, veloce e così così), nella rubrica ci stavano sei numeri e prendeva se avevi un ricevitore della Telecom nella bat-cintura.

Il primo cellulare, quello di mia proprietà, me lo sono fatto nella maniera più romantica: uno you & me comprato per me e per la mia fidanzata dell’epoca. Era un pacchetto convenienza: due cellulari da spender poco in una confezione unica e due schede telefoniche con contratto you & me. Si è rivelata un’idea eccezionale: dopo essere stato lasciato, potevo telefonarle per insultarla spendendo la metà.
Si trattava di un altro macinino da poco, ovviamente. Per mandare un sms dovevi ricordare il numero a memoria, perché non lo potevi scegliere dalla rubrica. Poco male: la rubrica avrà avuto dieci numeri sì e no. Aveva una decina di suonerie. La prima faceva un bip, l’ultima ne faceva dieci.

Dopo essermi licenziato da dove lavoravo in quel periodo, con la liquidazione mi sono comprato un telefono un po’ più all’avanguardia, che aveva cinquanta numeri in rubrica e una ventina di suonerie (o forse persino di più, non ricordo).
Addirittura, una te la potevi mettere tu, componendola con il compositore o scaricandola gratis da Internet (altri tempi: una volta le suonerie si scaricavano senza dover telefonare in Cile).
Il compositore era – ed è – uno strumento di tortura. Quelli che si compilavano giochi e programmi sui vecchi pc con i listati trovati sulle riviste mi capiranno. Ma come si fa a farsi una suoneria con quel coso? C’è da perdere il senno. I primi giorni mi ci ero anche messo, con l’entusiasmo tipico di chi si trova tra le mani uno strumento con il quale poter creare.
Mi era successo qualcosa di simile anche con il primo Macintosh comprato. Per un certo numero di giorni era tutto uno stupirsi. Ma che figata! Ma che figata! Posso fare questo, posso fare quello. Poi non ci ho mai fatto niente, ovviamente. Idem il compositore di suonerie.
Quattro o cinque ore per mettere insieme qualcosa che sembrava un pezzo di dodecafonica schonberghiana suonato da Sid Vicious.

Ed è proprio dalle suonerie che probabilmente è iniziato tutto. Che questo mondo civile nel quale viviamo, ovvero, si è trasformato in un territorio dove deambulano zombi con il telefono all’orecchio, con il microfonino appeso al collo, con i cazzi propri sempre raccontati lungo la strada, ad uso e consumo di ogni passante con la voglia di sapere come ti va la vita. Mi fermo in un punto qualunque di una strada affollata, mi guardo attorno e non ci posso credere. Ci sono decine, anzi centinaia di persone che stanno parlando al cellulare! Ma cosa dovranno dire a quello che c’è dall’altra parte. Come abbiamo fatto fino ad oggi? Come siamo riusciti a sopravvivere senza una cosa che adesso ci riempie il 90% della vita?
E li coccoliamo, ci prendiamo cura di loro, li personalizziamo. Le cover, i loghi, le suonerie…

La prima volta che la colonna sonora di Guerre Stellari è sbucata da un cellulare tutti si sono sentiti uno squallido gregge incolore e il tipo del cellulare stellare deve aver eiaculato. Da lì in poi, la corsa. Suonerie e poi loghi e poi frontalini e poi e poi e poi.

E adesso, le persone sono diventate così:

SMS DIPENDENTE: La sua vita scorre tutta su infinite ragnatele di sms sparsi in giro, con i quali ha dato appuntamenti e programmato spese. Non parla e non telefona più a nessuno. Manda, invece, un sms, che è più comodo.
Anche se sei seduto con lui al tavolo di un bar, ti manda un sms.
Ti messaggia, per dirla in gergo corrente. Bella lì, ti messaggio in questi giorni. Vai tranquillo, messaggiami pure.
I più smaliziati te li mandano contratti. K al posto di CH, XKE’ al posto di PERCHE’ o anche solo SAB al posto di SABATO. E levano le vocali. Ti arriva roba tipo “xké sab nn 6 ven? t ho asp x 2 ore!”

IL PRIVATO E’ POLITICO: Dopo aver sottoscritto questo motto, ha deciso di condividere con il resto del mondo la sua esistenza. Si presta a questo Truman Show parlando dei fatti propri solo ed esclusivamente al cellulare e – soprattutto – solo ed esclusivamente in mezzo a gente che non conosce e ad alta voce.
L’altra sera un tizio mi si è seduto di fronte a un tavolo del Ciao all’autogrill; dopo due secondi stava spiegando a un tale dal quale voleva del lavoro i suoi problemi economici e, già che c’era, anche quelli sentimentali con la moglie. Che forse, addirittura, si vedeva con un altro.
Una variante, credo voluta e non inconsapevole, è quella del capo del mondo, un tizio giaccaincravattato che a voce alta licenzia persone, sposta miliardi e cazzia segretarie. In un mondo che quasi certamente esiste solo nella sua fantasia, tra l’altro.

007: Di tutte le figate che il cellulare non ha, quella che invece ha è la possibilità di vedere chi ti sta chiamando. E’ una soddisfazione. Puoi prepararti alla telefonata. Persino non rispondere. Quindi, confesso che quando leggo sul display numero privato mi rode un po’ il culo. Questa sorta di telefonata a sorpresa mi ricorda i tempi tetri del telefono canonico, mi angoscia, mi rende impotente. E mi fa anche un po’ incazzare. Come se uno vi suonasse al videocitofono e poi si nascondesse dietro al muro.

MAI PIU’ SENZA: Ne ha dodici. E dodici numeri diversi. Quando ti dà il numero lo fa dicendo “Chiama su questo. In linea di massima su questo rispondo sempre, comunque se non rispondo prova su questo. Se è staccato, fai questo, oppure questo, che è quello che uso per lavoro. Se no c’è questo ma potrebbe risponderti la Cinzia. In ogni caso, se è urgente mandami un sms su questo, che lo tengo sempre spento ma ogni due tre ore lo controllo”.
Se ve lo mettete in rubrica poi non vi sta più nessuno.

GENERAZIONE A: Come Ambra, anche lui vive con un’appendice plastica collegata al suo cervello. Ha un microfonino invisibile dentro al quale parla continuamente, facendo sentire idioti tutti quelli che stanno attorno a lui perché si credono, di volta in volta, chiamati in causa. Ti prendi un caffé al banco di un bar e sei circondato da questi tizi che sembra ti stiano parlado, o che parlino da soli come matti, e invece stanno parlando nel loro maledetto cellulare.

GENERAZIONE A IN AUTOMOBILE: Sono in macchina da soli. Non c’è nessuno, sei sicuro. Te li vedi accanto oppure vedi i loro volti dallo specchietto retrovisore. E parlano, ridono, si incazzano, urlano, sbraitano, gesticolano. E non c’è nessuno. C’è solo un viva voce infilato da qualche parte, che sostituisce l’amico immaginario di un tempo.

IL BAMBINO DENTRO: Ha cinquant’anni e la suoneria dei Pokemon. Sei seduto accanto a un uomo distinto sul treno, senti la colonna sonora dei Flinstones e il tizio distinto estrae il telefono imbarazzato: è il suo.

AVANTGARDE: Non gliene frega nulla di telefonare: quello che conta, per lui, è avere l’ultimo modello. Con il display a colori e che può fare le cose più incredibili. Cellulari che fotografano, filmano, suonano, cantano, ballano… Lui deve avere l’ultimo uscito. Lo aspetta all’uscita, anzi.
Ti mostra tutte le sue funzioni (i videogiochi a colori e lo screensaver a colori e le suonerie strafighe…) e l’unica loro vera funzione è quella di essere mostrate a Tizio e a Caio e mai usati, fino al giorno in cui una nuova funzione vedrà la luce e ci saranno nuove bazze da sfoggiare.

Cose mie

Rucola

La rucola, con quel suo sapore amaro, mi fa letteralmente schifo. Non riesco a prendere in considerazione il fatto di mettermela nemmeno vicino alle labbra. Mi disgusta!
E fin qui, de gustibus non disputandum est, come direbbero i tizi di un popolo che purtroppo è tutto morto. Non fosse che la rucola, poco alla volta, nemmeno troppo silente, sta invadendo il mondo e nessuno fa nulla per fermarla.

All’improvviso, senza una ragione evidente, questa merdosa insalata amara è apparsa di prepotenza nel settanta percento dei piatti all’uomo conosciuti. C’era anche prima, forse. Forse sì, c’era, ma il contrasto da a volte a ovunque è così forte da aver cancellato il passato. Nei miei ricordi, non c’è traccia di rucola come un simpatico e disimpegnato angolino verde sulla tavola; il mio archivio mnemonico me la ripropone davanti agli occhi solo come un qualcosa che prima non c’era e che ora, invece, devo far levare da qualunque portata.
Mi sono ritrovato, senza poter scegliere, nella zona di mondo occupata da quelli che mangiano senza. Senza rucola, ovviamente.

Ricordo quando ancora mangiavo carne e pesce… Ero a cena in un ristorante con specialità pesce, diverso tempo fa, e nel leggere il menu mi saliva il panico. La rucola aveva la stessa frequenza dei prezzi riportati. Ogni piatto, ovvero, aveva sia un prezzo, sia una spolverata di rucola. Da ogni merdoso piatto di quel merdoso menu sbucava della merdosa rucola. Quindi, tripletta di senza. Un cocktail di gamberi senza rucola, spaghetti allo scoglio senza rucola e carpaccio di pesce spada senza rucola.
La panna cotta non ce l’aveva. Mentre vedevo il tizio che dal fondo della sala si avvicinava al tavolo con la panna cotta in mano temevo che ci sarebbe stata anche lì. Una bella tritata di rucola sulla panna cotta e via.

Che cosa ha reso potenti quelli del mondo del con? Con rucola, ovviamente. Perché non vivo in un mondo dove un amante della rucola non dovrebbe far altro che dire, semplicemente e candidamente: con rucola, per favore?

Non ci avevo mai fatto caso, perché di solito andavo direttamente al Burger King al secondo piano, ma un giorno (sempre del mio periodo carnivoro) mi fermo di fronte al bancone dell’autogrill per vedere di mangiarmi un panino, al posto del solito chicken wrap fatto con i pop corn di pollo (i pop corn di pollo? ma come cazzo li fanno? mia nonna si rivolta nella tomba) e scopro questo nuovo portento dell’arte culinaria: Icaro, il delicato e leggero panino strafigo al quale auguro la medesima sorte del suo omonimo. Gli ingredienti non me li ricordo, anche se ricordo che mi piacevano persino. Lo avevo trovato invitante e adatto al calore afoso della giornata.
Ma non l’ho preso. Ci sarà stato uno strato di un paio di centimetri di quella merdosa rucola. Ma perché, cazzo, perché? Metterla è cosa di un minuto, toglierla è roba di secoli…

… già, perché mica sempre puoi dire senza. A volte nemmeno te lo immaginavi, che te la saresti trovata da qualche parte. Giorni in cui appare all’improvviso su cibi che un tempo non la indossavano. Il filetto, per dirne una. O il carpaccio. Un tempo me li aspettavo ricoperti da favolose e morbide scaglie di grana, oggi arrivano carichi di rucola. Un po’ alla volta si infiltra ovunque. Me la sto aspettando nel cheeseburger da MacDonald (nelle pizze di Spizzico è partita subito alla grande) e come gusto di dentifricio.
E così, in quei tristi momenti, passo parecchi dei miei minuti a levare quell’insalata del cazzo dai miei piatti, all’inizio a grandi forchettate, poi in minuziosi lavori di precisione per levare l’ultimo strato di foglioline appiccicate ovunque. E tutto si raffredda. Tutto.
Mangio lento, incazzato e nervoso, per colpa di questa innocua insalatina del cazzo. Maledetta e merdosa.

Cose mie

I dettagli sono importanti

La vita non è poi così brutta, ma definirla bella lo trovo poco corretto. Se l’essenza delle cose sta nei dettagli, a me capita troppo spesso di trovarmi di fronte a dettagli sbagliati.

Perché se vado al self service per fare benzina l’unico stramaledetto deca che ho in tasca è anche l’unico stramaledetto deca che la macchinetta non accetta?

E perché se voglio prendermi una coca al distrubutore delle bibite che c’è in metropolitana, il suddetto funziona solo a moneta se ho banconote e solo a banconote se ho moneta?
E perché se servono 2000 lire in moneta io ho solo 1950? E perché se ho 2000 lire esatte in moneta una merdosissima monetina da 50 lire continuerà a scendere senza possibilità che il distributore la accetti? E perché questa dannata monetina si rivela solo quando ho già infilato le altre 1950 lire?

Perché nei distributori di sigarette il resto massimo è 3000 lire? Perché, perché, perché? Se ho quello stramaledetto deca che mi ha rifiutato il self service della benza non lo posso usare nemmeno qui. Per un pacchetto di sighe è troppo poco, per due non basta. Devo sempre sperare che ci siano le cicche e comprarmi un pacchetto anche di quelle.

Perché a volte le sigarette mi finiscono in bocca al contrario e quando le accendo le ciglia mi prendono fuoco insieme al filtro e do una boccata di roba che ha il gusto di sottilette fuse nella loro stessa plastica?

Perché lavoro intrippato al computer per un’ora di fila continuando a pensare “adesso salvo” “adesso salvo” e quando sto davvero per salvare il computer va in palla e devo riavviare?

Perché se indosso una cosa bianca si sporca nei dieci minuti seguenti?

Perché se c’è una sola pozzanghera nel raggio di un chilometro io ci parcheggio la macchina proprio di fianco, lato guida, e ci atterro fino alle caviglie quando scendo?

Perché se c’è un tempo di merda e dico “rischio” uscendo senza ombrello appena sono abbastanza lontano da casa arriva il diluvio universale? E perché se invece l’ombrello lo prendo poi esce il sole e mi devo tenere l’ombrello tra i coglioni per tutto il giorno?

Perché se esco con il cellulare non mi chiama nessuno ed è solo una rottura di scatole perché non so mai dove metterlo e se lo lascio a casa mi telefonano in cento?

Perché quando ho comprato il mio pc il processore massimo era a 900mhz e mentre lo portavo a casa è uscito il 1000mhz e mentre pensavo se prendere il 1000 è uscito il 1200 e mentre mi convincevo a prendere il 1200 usciva il 1300 e mentre entravo in negozio per comprare il 1300 è uscito il 1400?

E perché se finisco il linquido lavavetri dieci piccioni mi cagano sul vetro e inizierà a piovigginare acqua terrosa?

Perché se finisce l’acqua calda mentre faccio la doccia finisce proprio quando sono insaponato e non un attimo prima o un attimo dopo?

E perché se vado al cinema, anche se fossimo SOLO IN DUE quello più alto di noi due si siederà davanti a me?

Perché i carelli dei supermercati hanno le rotelline che vanno per i cazzi loro e quando ho il carrello pieno devo sembrare un povero impedito per riuscire a portarlo fino alla macchina?

Perché d’estate in metropolitana o sul treno non riesco mai ad abbassare un solo finestrino e d’inverno sono tutti spalancati e non riesco ad alzarli?

Perché posso passare le mani per due ore sotto a quei soffioni d’aria calda che sostituiscono l’asciugamano e non si asciugeranno mai? E perché le fotocellu le dei lavandini sono nascoste in un posto segreto e devo masturbare il rubinetto per riuscire a fare uscire dell’acqua? E perché gli sciacquoni delle turche devono essere settati a “cascata del niagara” e ogni volta che tiro l’acqua il getto mi inonda fino alla cintola?

E perché se vado nel cesso di un locale pubblico quando mi lavo le mani l’acqua mi schizza sempre e solo sulla patta dei calzoni?

Perché in tutte le macchine che ho avuto il portacenere è sempre nel posto più scomodo in assoluto e per buttare la cenere posso scegliere tra: spargerla per l’abitacolo, fare un incidente mortale o scalare in seconda per levarmi il manico del cambio dai coglioni e individuare il posacenere?

Perché se cerco Altavista PUNTO COM, o Google PUNTO COM o Stocazzo PUNTO COM mi devono fare quel dannato redirect al PUNTO IT? Voglio il punto COM. COM, dannazione. COM, COM e poi ancora COM e il vostro redirect for dummies mi fa solo incazzare!

Perché l’acqua calda, dal rubinetto, inizia ad uscire calda quando ormai ho finito di lavarmi le mani?

Perché quando installo un sistema operativo un’ora me la perde a sbattermi sul computer un giga di drivers e software aggiuntivo e poi quando attacco qualunque cosa (scanner, stampanti…) non funziona mai niente e perdo tre ore sulla rete a cercare drivers funzionanti e tips & tricks?

Perché?

Cose mie, L'internet

Discoteca

Eppure ho una trentina d’anni. La fascia d’età la condivido con il 70% di quelli che stanno attorno a me. Indi, perché non mi diverto?
Perché non sento dentro quella forza che mi dovrebbe condurre a saltellare in pista e mettermi di fronte alla consolle, ingobbito, sorridente, muovendo ritmicamente la testa, alzando il braccio e puntando il dito indice annuendo? Perché non mi succede, dannazione? Almeno potrei capire che cosa cazzo indicano.

Per tutto ciò io soffro. C’è una sorta di diversità che se a volte puoi fingere di vederla come la chiave di lettura della tua superiorità, molto spesso ti fa solo invidiare il tizio che scrolla la testa, accanto a te. Bello sudato e soddisfatto. Sfatto. Fatti, non parole. Lui, si sta divertendo. Io mi sto rompendo le palle.
Prima, tra l’altro, ho litigato con il buttafuori. Sto per entrare tranquillo e beato quando una mano grande come la mia testa si piazza tra me e il paese dei balocchi.
“Scusa, ma qui c’è selezione all’ingresso”, mi dice il gigante; il padrone della mano, l’incredibile Hulk, solo un po’ più pallido.
E mi guarda con quell’espressione di superiorità che mi dà veramente sui nervi. E’ l’unico caso nella mia vita nel quale vorrei essere qualcuno solo per potergli dire Lei non sa chi sono io! Purtroppo non è l’unico a non saperlo. Non lo sa nessuno. Non sono nessuno e non lo so nemmeno io, chi sono. Così devo sorbirmi il suo sguardo ebete e convinto, il suo tono arrogante, la sua espressione saccente, il suo abito nero da Man in Black che me lo fa odiare a pelle e che lo fa sentire il Re dei Ganzi nonostante somigli al Re dei Gonzi.
E’ lo stramaledetto fascino della divisa. Questo tizio si è messo l’abito nero e le cuffiette di Ambra in testa (solo che al cervello di Ambra almeno qualcuno parlava…) e all’improvviso non è più Mario Rossi, un tranquillo ragazzone di provincia che si tocca l’uccello beandosi dell’immagine taurina che lo specchio gli riflette. Non è più lo sfigatello che tutti evitano al bar e trovano le scuse più incredibili pur di non sorbirsi i suoi discorsi inutili e noiosi (“scusa, ma ho dimenticato il gas accesso”, “scusa, ma ho detto a mia madre che sarei tornato a casa presto”, “scusa, ma in televisione ci sono i mondiali di biglie su spiaggia e io sono un appassionato”…)…
Ora, con la divisa da becchino, lui non è Mario Rossi. E’ Super Mario, e invece di dare pugni sotto le gonadi di qualche tartaruga li dà nelle gonadi di un malcapitato che si era detto “E vaffanculo, settimana pesante… jeans e maglietta e le mie adidas belle comode e sono il re del mondo”…
“Selezione all’ingresso?” – io chiedo – “Ma che selezione? Darwiniana?”
Poi mi dico Ma bravo, fai lo spiritoso. Adesso ti dirà di non fare lo spiritoso. Poi mi dico Sì, dai, figurati se adesso capisce la battuta. Vuoi scommetterci cento sacchi? Affare fatto. Persi cento sacchi. La battuta non la capisce, ma comprende l’intento.
“Non fare lo spiritoso”, mi dice.
“Spiritoso? No, chiedevo a proposito della selezione. Devo superare un test per entrare? O che altro?”

Dice “Sai, qui ci si veste in un certo modo…”, guardandomi dall’alto in basso. Aggiunge “Serve un minimo di eleganza. Non si può entrare con le scarpe ginniche, per esempio…”
Le scarpe ginniche? Le scarpe ginniche???
Gli dico “In un certo modo? Eleganza? Io devo pagare 35 carte da lire mille per farmi dire se le mie scarpe vanno bene? Ma chi cazzo sei, il mio consulente dell’immagine? Ma se pago 35 sacchi voglio essere io a dirti se mi piacciono lo tue!”
Lui continua a mettermi una mano sul petto, come a volermi fermare. Io sono immobile, non sto andando da nessuna parte, ma lui continua a mettere quella mano e mi dice “Se sei venuto qui per litigare…”
“Per litigare? Ma se sei tu che hai detto che mi vesto alla cazzo…”
E mentre io e Capitan America bisticciamo, dietro di me passano le cose più incredibili che io abbia mai visto. Calzoni metallizzati, canottiere di rete aderenti, zeppe alte due metri… tutto indossato da tipi che dimenano le braccia al cielo in una sorta di ballo che pare una crisi epilettica. Ovviamente, indicano. Indicano, cazzo.
“Ma… è quelli?”, chiedo.
“Sono trendy”, mi risponde.

Per entrare in questo locale ho dovuto quindi implorare per alcuni minuti. Mi spiaceva far tornare a casa tutta la ciurma per colpa dei miei levis abbinati alle scarpe da ginnastica (“o uno o l’altro”, mi ha detto Terminator), e così ho mendicato un libero accesso in un locale del quale mi fregava meno di niente (“la prossima volta più eleganza, però”, mi ha ammonito Rambo mentre mi concedeva un po’ della sua magnanimità).

Ora eccomi qui, gomiti appoggiati al bancone, sguardo alla tizia scollata e scosciata e sudata che mi ha appena servito un avana club finto (è un bacardi, si capisce. quando chiedo avana club invecchiato sette anni non ce l’hanno mai, allora vogliono rifilarmi quello da tre, color piscia, o un bel bacardi scuro che tanto è lo stesso. vabbé, per voi sarà lo stesso, ma per me no… a me sto bacardi scuro fa schifo, tanto per essere precisi) e una musica così distante da tutto quello che ascolto solitamente che nemmeno riesco a capirla.
La cosa buffa è che quando dirò alla mia metà che sono stato in discoteca mi guarderà con quella faccia un po’ diffidente, immaginandomi sudato ed eccitato a ballare su un cubo toccandomi il pacco, probabilmente. Se invece mi vedesse adesso credo che mi ci manderebbe lei, in discoteca, due volte a settimana, tanto per farmi rimpiangere la solitaria e sicura vita a due…

Vado a mingere. Sono ubriaco e stonato e stanco e scazzato e.
Una pisciata mi farà bene, perché mi immergerà per qualche minuto in un frastuono più ovattato e leggero e potrò tirare il fiato.
Il cesso sembra un ambulatorio di emergenza in un campo profughi, con gente seduta a terra o che vomita in un lavandino o che piscia in caduta libera davanti a se tenendosi con i palmi delle mani al marmo che gli sta di fronte. Un tizio mi si avvicina e mi chiede qualcosa, ma non capisco niente di quello che dice, perché ha le mandibole tirate e parla come l’attore di scuola di polizia, quello che fa il criminale idiota. Poi trova un tipo che vende pastiglie varie e mi molla per andare da lui, così posso guardarmi intorno e vedere se tra vomiti e chiazze di urina e acqua nerastra sparsa in giro si trova un posto per farci dentro un po’ di pipì.
Attorno a me ballano tizi impasticcati. Sono ragazzi piuttosto giovani. Quelli meno giovani hanno tirato un po’ di coca. Si capisce perché sono più coordinati, hanno gli occhi lucidissimi, una certa sicurezza nel viso che si abbinerà al sorriso sensuale quando appoggeranno la mano sulla coscia di Tizia dicendole “Conoso un sacco di gente, lo sai? Tu puoi diventare qualcuna, te lo dico io…”
Non sono tutti così, per fortuna. Certi tirano la coca e basta, poi tornano a casa da soli.

Quando esco dal cesso la voglia di andarmene si è fatta così pressante che se non fossi qui con tre amici scapperei subito. Mentre mi incammino verso il bancone, dove mi piazzerò nuovamente immobile come un uccello impagliato, trovo un’ex collega di lavoro, fighissima nella sua minigonna e nel suo vestito attillato e nell’idea che le sue tette celate trasmettono di loro da una scollatura. Mi accorgo di come l’abito e il trucco cambino molto spesso ogni prospettiva, di come riescano a farti vedere sotto altri aspetti ed altre fantasie una persona che conosci così bene da esserti quasi indifferente, nel quotidiano.
Ci scambiamo praticamente tutti i luoghi comuni che conosciamo, dai “come ti va?” ai “e lì al lavoro com’è, sempre uguale?” fino ai “salutami tutti, mi raccomando”…
Ci congediamo l’una dall’altro baciandoci sulle guance, consapevoli entrambi che lei non saluterà nessuno e a me non fregherà un cazzo della cosa.

Bancone. Tipa scosciata e scollata e sudata. Bacardi invecchiato che sa di acqua e cartone. Una cubista che si dimena su un balcone sopra di me. Un figo che le balla accanto a torso nudo. Un gruppo di tizi che mi si agitano accanto, con gli occhiali da sole e i capelli sparati e l’indice rivolto verso l’alto. Un coglione ubriaco che mi finisce addosso, mi rovescia la merda che aveva nel bicchiere sui piedi e poi mi dice di stare più attento…
Butto lo sguardo da ogni parte per vedere se riesco a rintracciare gli amici e li scorgo non molto lontano, stanno chiacchierando con una tipa che forse conosco anch’io. Li raggiungo e scopro che parlano di sesso. 90 su 100, i ragazzi e le ragazze parlano di sesso, quando discutono tanto per cazzeggiare. Le ragazze con una sorta di onestà pulita, i ragazzi con l’eccitazione di chi vorrebbe spogliarsi e fornicare entro quindici secondi. Le prime raccontano ingenue, i secondi se le immaginano nude e in un letto. Con loro, ovviamente.

Mi avvicino e mi unisco al discorso. Cerco di essere almeno un po’ simpatico. A volte ci riesco, a dire il vero. Ci riesco quasi sempre, tanto per essere modesti. Parlo con la gente e mi accorgo che la gente si diverte con le mie battute stupide e tutto sommato sono felice.

C’è un momento, lo giuro, nel quale mi sto quasi divertendo. Riesco a scindere la musica assordante dalle nostre parole e siamo ancora noi, io e i miei amici di sempre, ubriachi e sorridenti. Ma sono le tre di notte e si torna a casa. Marco si sveglia presto, Enrico anche, Roberto pure. Sono io la mosca bianca, che quando tornerà a casa si siederà al computer e tirerà ancora fino alle sette del mattino, giochicchiando un po’ con le parole e le gif e icq e l’http e l’ftp e l’html e javascript e basta, ho sonno, vado a letto.

Sono io, costantemente io, il coglione che inizia a divertirsi sempre e solo quando le cose stanno finendo.

E così ci incamminiamo verso l’uscita. Un tizio ubriaco mi vola addosso e quasi cadiamo. Poi quando siamo di nuovo in equilibrio mi punta gli occhi contro, iniettati di sangue, mi fissa con sguardo di sfida e mi dice qualcosa di offensivo.
Lo osservo. E’ bianco, più bianco di me. Una sorta di cadavere ambulante, con una canottiera grigia e nera attillata e i capelli sparati verso l’alto, tinti di giallo, o comunque di un biondo così evidentemente falso da sembrare giallo. Ha gli occhiali da sole, come quasi tutti quelli che stanno qui dentro (poi per forza che vanno a cozzare ovunque…).
Lo guardo e mi sento vecchio, perché lui avrà vent’anni e io ne ho più di trenta e i dieci anni che ci dividono sono probabilmente un’eternità. Lo guardo e mi fa un po’ pena, con il suo viso slavato alla Sid Vicious e il suo abbigliamento da coglione che oggi lo fa sentire un gran figo e fra dieci anni se ne vergognerà (è successo anche a me…). Lo guardo e penso che probabilmente ha calato qualche pasticca, anche, tanto per divertirsi un po’ e ballare indicando con il dito come fanno tutti gli altri; per sentirsi diverso e ribelle e indipendente, come tutti gli altri. Lo guardo e mi accorgo che io e lui, anche se con percorsi diversi e mode diverse e droghe diverse e letture diverse e tutto diverso forse potremmo essere simili; io ci ho creduto un tempo, lui ci crede oggi.

Lo guardo e alla fine gli dico “Scusami, ero distratto”, raggiungo gli altri e ce ne andiamo via.

Cose mie

Del traffico, dei motori, dei pedoni

note: il correttore automatico di word è la più grossa minchiata che io abbia mai visto in vita mia. ciò premesso, vogliate scusarmi per le parole “mischia” e “ciglioni” che potrebbero apparirvi senza una logica nel testo. per una comprensione corretta, vanno sostituite con i vocaboli, tra l’altro più eleganti, “minchia” e “coglioni“.

Da quando vivo a Milano (o comunque ci vivo buona parte della mia vita), la mia esistenza automobilistica è minata continuamente da nuove insidie che, in quanto paesano campagnolo rozzo, nemmeno immaginavo.
In paese, se telefono a un mio amico per chiedergli dov’è e mi risponde che è al bar, gli dico “Prendo la macchina e fra due minuti sono lì”; a Milano, gli dico “Mi ripeti la via? Anche il nome, per favore, che lo metto nel navigatore satellitare. Prendo la macchina e tra un paio d’ore sono lì”.
Inoltre, nel paesino non c’è il lavaggio strade, che una sera alla settimana ti fa parcheggiare la macchina in posti così lontani che se fossi in paese, per andarci, prenderei la macchina.
E non ci sono i binari del tram. La prima volta che sono stato in macchina a Milano avrò avuto vent’anni. Sono arrivato in Via Certosa con la mia Y 10 e c’erano queste strade enormi, così giù ad accelerare da bravo cazzone (per quel che si poteva con la Y 10)… Poi appena ho beccato i binari del tram e ci sono finito dentro ho come perso il controllo del mezzo e credo di aver fatto seicento metri direttamente guidato dai binari.
Il massimo sono binari del tram abbinati al pavé: se ci finisci dentro con un litro di latte ci esci con un paio di mozzarelle.

In paese, infine, non trovare parcheggio significa doverla parcheggiare a cento metri da dove si deve andare, che è una signora distanza, per la quale l’imprecazione è più che giustificata. In città, cento metri te li sogni, e duecento sono un dono piovuto dal cielo. Ma anche trecento, quattrocento, cinquecento… e via, fino al chilometro. E la distanza diventa un problema del tutto trascurabile, rapportata al tempo per trovare quel bastardissimo spazietto vuoto. Non so quando morirò, ma di certo so come: cercando un parcheggio. L’altro giorno l’ho parcheggiata su un marciapiede per la disperazione, dopo essermi accorto che era almeno la terza volta che ripartiva il cd nell’autoradio da quando avevo iniziato a cercare.

Comunque non è il non trovare parcheggio a farmi incazzare veramente, quanto il constatare che un secondo prima ce n’era una libero e lo ha appena occupato un altro. Arrivi in queste piazze strapiene di parcheggi occupati e incroci sempre questo tizio che sta scendendo dalla macchina appena parcheggiata. Si accende una sigaretta e si incammina via godendosela. Maledetto bastardo.

E’ nel traffico, però, che si consuma inesorabile il mio sistema nervoso. In queste code infinite, ingorghi, intoppi… a qualunque ora del giorno e della notte. In paese, alle tre del pomeriggio di un giorno d’inverno, potrei uscire di casa nudo con una tromba nel culo tranquillo di non essere visto. A Milano, l’unica volta che sono riuscito ad accelerare in tangenziale erano le quattro e mezza di un martedì notte. Ma dove minchia vanno tutti?
Per non impazzire, ho cominciato a passare il tempo nel traffico osservando il mondo intorno a me e ho scoperto che i nemici di noi poveri e inermi automobilisti sono principalmente una quindicina, ben divisi fra pedoni, motorini e motorette e automobilisti.

pedoni

L’INDIFFERENTE
Passa col rosso e cammina come se niente fosse, dritto e imperturbabile, con la testa leggermente bassa, ma solo in rispetto dei suoi pensieri profondi. Non per la vergogna d’essere uno stolto, come invece apparirebbe molto più logico. Il fatto che tra un ometto rosso e l’altro ci siano delle strisce pedonali disegnate gli fa credere di camminare tra pareti trasparenti che lo ripareranno dal mondo.

SCUSATE, SONO UN COGLIONE
Fa la stessa cosa di quello sopra, ovvero passa con il rosso, ma ne è consapevole e allora con le braccia fa gesti di scuse, si ferma a metà del percorso per evidenziare le scuse, ferma metaforicamente la tua macchina con la mano e dopo dieci minuti di questa agonia ha finalmente attraversato la strada. E’ convinto che ammettere la colpa la annulli, mentre non sa che spero per tutto il tempo che dall’altra parte arrivi uno e lo travolga.

L’OCHETTA
Vede che il semaforo diventa rosso, se ne fotte e si precipita lo stesso, poi però si trova in mezzo a quattrocento macchine e allora, per lo spavento, si blocca in mezzo alle strisce, fermando il traffico per mezz’ora, guardando spaesata e buttando gli occhi ovunque, con la tipica espressione che annuncia uno stridulo “ma io…”.

IL FICONE
Lo sa che è rosso, ma se ne sbatte i coglioni, lui. Sta camminando mano nella mano con la sua donna e deve dimostrarle continuamente la sua forza e il suo disprezzo del pericolo. Ma, a ben pensarci, quale pericolo? Chiunque, infatti, vedendolo precipitarsi ad attraversare col rosso, ma con quella sua bella faccia da cazzo che mostra il grugno duro al dio Ra e il petto da tacchino alla città, si fermerà immantinente per lasciarlo camminare tra inchini e cappelli levati.

LA FICONA
Lei passa, tanto è figa. Cazzo gliene frega? Anzi, i maschietti potrebbero cogliere la palla al balzo per dedicarsi a una pratica onanistica, mentre osservano il suo passaggio. Stangona, tette sode, cosce al vento, lei passa dritta e sicura del suo successo nei confronti del pubblico automobilistico maschile. Le donne dovrebbero ammutolirsi, fermarsi e ringraziarla per questi cinque minuti di rivalsa femminile nella fallocrazia stradale, invece.

LA VECCHIETTA
Fatta del “rispetto per gli anziani” una bandiera, se l’è messa a mantello e con tutte le regole ci si è candidamente forbita il culo. Il semaforo resta materia da giovani, questi drogati capelloni che vanno in giro con sciacquette mezze nude. Per lei, ormai è tempo di vendetta. Se c’è il verde tanto meglio, sennò si passa lo stesso, con quel visino un po’ triste e un po’ allegro. Triste perché gli anni passano, allegro perché finalmente può fare il cazzo che le pare.

FERMI TUTTI, PASSO IO!
Quello che si mette in mezzo alla strada e con la mano ferma le macchine perché sta passando lui. Manco fosse Batman che sta andando a sventare una rapina. Tra questi, ci sono anche un po’ di ficoni, quando proprio sono al massimo della forma.

QUELLO CHE MENA
Già per il fatto che i vostri occhi si sono incrociati, sta pensando seriamente di trascinarti giù dalla macchina e spaccarti la faccia. E questo per cominciare. Ora, se lo lasci passare con il rosso fermandoti senza inchiodare (se no si gira, ti prende a pugni il cofano e ti urla “Calma, ma non lo vedi che ci sono le strisce?”) e accendendoti una sigaretta soddisfatto (si deve proprio capire che stai pensando “Oh, finalmente mi posso fermare e accendermi questa agognata sigaretta”), questi se ne andrà felice. Ma se inchiodi, imprechi e, madre di tutti gli errori, suoni… in questo caso l’epilogo oscillerà tra la mezz’ora più brutta della tua vita ai cinque giorni di ospedale.

moto e motorini:

007 IN MISSIONE
Zigzaga tra le macchine a tutta birra, ti passa a un centimetro dallo specchietto e a tre millimetri dal cofano un secondo dopo. E’ come avere una mosca nell’abitacolo. Qui invece è una vespa, fuori dall’abitacolo. Non sai più dove cazzo guardare e alla fine, stremato, ti metti in un angolino e speri che ce la faccia a passare e sparisca per sempre dalla tua vita.

L’INCREDIBILE HULK
Ha una graziella a motore, ma sta a centro corsia come se avesse un TIR. Dritto/a e imperturbabile, il/la motociclista ha occhi solo per strada e orecchie ben tappate, quindi né abbaglianti né strombazzate lo/la faranno spostare. Il giusto sta nel mezzo, ed è lì che rimarrà, con voi dietro a sfogliare giornali o a cuocere crepes. Nella versione “Le meraviglie della natura”, a guidare la motoretta sarà una fanciulla con le orecchie di pelo appiccicate al casco (che a quanto pare è la bazza del momento), che faranno sembrare il tutto ancora più una presa per il culo.

IL FIGLIO DI TOGNI
Ti si accosta al semaforo e al verde sfreccia con un’impennata che ti lascia immerso in una nuvola di fumo, per poi partire tossendo e ritrovartelo davanti che sta ancora sfoggiando la sua penna, mentre speri di non dover spiegare alla polizia come mai ti è finito sul cofano.

automobili:

MI METTO IN SECONDA CORSIA CHE E’ VUOTA
A quindici/venti all’ora, con una bella sigarettina di quelle fini da fumare in santa pace, con dietro una coda che nemmeno al funerale della regina madre… Questi amano andar piano e tranquilli – ed è giusto così – però preferiscono farlo nella corsia di quelli che vanno un po’ più veloci. Mica per dispetto, tra l’altro. No, anzi… se uno dietro lampeggia o suona si offendono anche un po’.

L’INDECISO
Parente dei sopra menzionati, in preda a una grande indecisione resta al centro delle due corsie (nelle autostrade, i più bravi riescono a stare al centro di tre corsie). Fargli notare la cosa lo manderebbe inutilmente in panico. Non solo resterebbe al centro, ma rallenterebbe in preda a dubbi e timori sul perché dei vostri segnali.

SPECIAL COMBO: I GEMELLI SIAMESI
Strada a due corsie. Nella corsia lenta c’è uno lento, e in quella di sorpasso un coglione lento anche lui. Tu stai dietro, e non passi più. Non passi più, maledizione! E attraverso i loro lunotti vedi che davanti a te c’è una strada completamente vuota, che la distanza temporale tra te e la meta potrebbe essere di un solo minuto. Invece devi stare dietro a questi meledetti stronzi affiancati.

IL FRATELLO DI SCHUMAKER
Ti sta appiccicato al culo e ogni tanto accelera anche, per farti capire che lui è uno che va e non ha tempo da perdere. Il fatto che tu possa avere davanti un tram, una coda di quaranta macchine o un gruppetto di bambini che sta attraversando le strisce è irrilevante. Lo sa, ma non può tenere per se il suo nervosismo. Te lo deve comunicare a due tre centimetri dal culo.

LE FRECCE LE USANO GLI INDIANI
Frecce? No, grazie. Con questo motto, i cazzoni girano mentre li stai sorpassando, si inchioda tutti in allegria e ci si pianta in un casino di macchine che ti passano a destra e a sinistra, tutti e due immobili come dei cretini, ad aspettare lui il rosso di qualcuno per sgattaiolare via, e tu che lui sgattaioli per levarti dalle balle.

ANDALE ANDALE, ARIBA ARIBA!
Con questo grido alla Speedy Gonzales si immette su una strada principale uscendo da una strada secondaria mentre tu stai arrivando a 180 all’ora. Esce scattante, come se avesse una premura bestiale… e poi si piazza davanti a te a 30 all’ora. E tu impazzisci.

LA CALMA E’ LA VIRTU’ DEI FORTI
C’è sempre qualcuno che va sulle statali a 15 all’ora, e gli arrivi a culo proprio mentre dall’altra parte stanno arrivando due funerali, un matrimonio e un’altra ventina di macchine. E tu gli resti dietro e impazzisci. Non puoi sorpassarlo. Lui è lento, quasi immobile. E ogni tanto frena. Così, senza un motivo apparente. Vedi i fari rossi degli stop che gli si illuminano e non capisci il perché.
E pensi: “Ma cosa cazzo frena?”
E urli: “Ma cosa cazzo freni?!”

Tra l’altro, c’è una regola alla quale non si scappa: se sei dietro a una macchina che va a 15 all’ora in una strada tutta curve, deserta… appena appare un rettilineo nel quale sorpassare si materializzano trenta macchine che arrivano dall’altro senso. Ma non solo macchine: camion, moto, trattori, carrarmati…
Poi ancora 30 km di strada tutta curve a gomito con visibilità zero e completamente deserta, poi rettilineo con macchine, autobus e giro d’Italia dall’altro senso, ancora curve a gomito su strada deserta… e via così, a oltranza.

SCHERZETTO!
Mi metto davanti a te nella fila di destra però devo andare a sinistra, eh eh.

Cose mie, Uomini & Donne